BUONE CONDIZIONI
Commento dell'editore:
Nell'avventurosa ed emblematica storia di Braccio da Montone, discendente da una nobile famiglia umbra, vissuto a cavallo fra il Trecento e il Quattrocento, nel divampare di faide e contese, si legge in filigrana il carattere, l'aspirazione ancora allo stato embrionale e il destino di un'Italia che soltanto quattro secoli dopo, all'alba del Risorgimento, avrebbe saputo pensarsi come uno stato libero dal giogo degli invasori e dalle mire insaziabili di potere di uno Stato Pontificio avido di terre e beni materiali, per concepire il sogno dell'unità nazionale. La vita di soldato di ventura di Andrea Fortebracci, noto poi come Braccio, inizia quando, poco più che bambino, alla morte prematura del padre Oddo e nella percezione di una vita fattasi più esposta all'odio degli oppositori e alla loro brama di potere, di fronte alle lacrime della madre Giacoma e l'angosciato smarrimento dei fratelli, tra cui spicca la salda e sagace Stella, indispensabile consigliera e sostegno di tutta la vita, nella stretta del rischio accresciuto e del dolore "conosce il suo destino, ha deciso: da oggi la sua vita sarà consacrata alla difesa della famiglia e alla riconquista dei privilegi usurpati, in difesa dell'onore e del patrimonio, dedicata al riscatto e alla battaglia…". È il 1380 e a Perugia i "popolari", "gentaglia che crede di poter comprare tutto con il denaro", come nelle parole della madre, hanno preso il posto delle famiglie nobilitate dal valore dimostrato in guerra. Non meno ardua è la situazione a Montone, l'altra città dove i Fortebracci hanno possedimenti e l'inespugnabile, maestoso palazzo. Oddo, il padre di Andrea, si è sempre speso per difendere i privilegi così conquistati anche a prezzo di essere più di una volta bandito. Per la sua posizione strategica Montone è contesa tra città di Castello e la guelfa Perugia che ha il potere di nominare sia il castellano che il Podestà. Quanto a Perugia, da anni nobili e popolari sono in conflitto, gli interessi dell'aristocrazia sono incompatibili con quelli di artigiani e mercanti, nuova classe emergente. I perugini sono gente bene addestrata alle armi, incline a guardare come nemico il vicino di casa più che l'invasore. Perugia è inoltre tra le città più insofferenti del dominio papale. Sono anni in cui tutta l'Italia è teatro di aspre e sanguinose contese tra gruppi e fazioni che tentano di assicurarsi con ogni mezzo la supremazia delle città, delle contrade, dei comuni. Le tappe dell'avventura di Andrea bruciano in fretta, convulsamente, lungo un percorso irto di agguati e tradimenti, temporanee e incerte alleanze, rischi mortali tra lo sferragliare di spade e i micidiali colpi di mazza, l'intreccio fumante di uomini e cavalli sventrati mentre sul crinale delle dolci colline marchigiane o delle aspre zone appenniniche di Abruzzo e Umbria, tra le terre di Toscana e Romagna si profilano minacciose nuove schiere di armati. E' il tempo delle "condotte", compagnie di ventura in cerca di ingaggi al soldo del migliore offerente e dove la sola certezza è la maestria nel maneggiare le armi, la giustezza di un disegno tattico, la determinazione e il solo conforto è nella saldezza del patto stretto con i propri uomini e forgiato nel fuoco della battaglia. Già a diciott'anni Andrea si guadagna il nome di Braccio per l'eccezionale quasi magnetica precisione nel maneggiare le armi e per la temerarietà, è già un uomo formato e passa di ingaggio in ingaggio, iniziando dal conte di Montefeltro. Si batte al soldo dei più famosi capitani del tempo: Bindo da Monopoli, Crasso da Venosa, Mostarda da Forlì, fino ad Alberigo da Barbiano, ma sempre con il fine recondito di marciare un giorno su Perugia ed entrarvi da vincitore dopo aver ripreso il dominio di Montone. A meno di 30 anni Braccio è ormai leggenda: ha combattuto per qualsiasi causa con la necessaria crudeltà e l'efficienza di una macchina da guerra, più volte ferito ma sempre più temibile, per accumulare i mezzi necessari a formare un suo esercito. Questa di Braccio da Montone è una storia tumultuosa e avvincente, costellata di epiche imprese nel drammatico avvicendarsi di momenti di gloria e rovesci. La figura del capitano di ventura si staglia con impressionante risalto nel suo progressivo tendersi verso la meta che si è prefissa, diviso tra la fedeltà all'amore famigliare, la devozione alla moglie Betta, da cui non avrà figli, e i fugaci e roventi abbracci e amori con altre donne che invece gli daranno la discendenza, il cuore conteso tra il freddo calcolo della parte per la quale conviene al momento schierarsi e gli ideali che mai cessano di ispirare le sue scelte nel sogno di un futuro di gloria riconquistata, di unità del centro d'Italia, di uno stato laico sottratto al dominio del Papa di Roma: immagini e ideali che gli saettano nella mente dando slancio e vigore al suo impeto guerresco nell'acre incandescenza del mestiere delle armi. Braccio si forma progressivamente, da soldato a stratega, poi signore, riformatore, amministratore, politico finissimo, aspirante re. Egli corrisponde perfettamente al modello di principe che pochi anni più tardi Machiavelli proporrà a tutto il mondo. Ma è anche l'incarnazione di un Italia ancora lontana dal realizzarsi, la sintesi consapevole e folgorante, appassionante e magistrale di due modelli antagonistici mirabilmente congiunti nel suo destino di uomo e di eroe: Ulisse ed Achille.
Quarta di copertina:
L'infanzia di Andrea Fortebracci è corta e aspra. Alla morte prematura del padre egli decide di difendere la madre e i fratelli, di battersi per il riscatto dei nobili suoi pari e per la gloria. Sia a Montone, terra d'origine dei Fortebracci, che a Perugia, loro città di adozione, si trascinano da anni faide cruente tra fazioni.
A diciotto anni uccide in duello tre membri del clan avversario a Montone. È costretto a fuggire e arruolarsi coi Montefeltro. Inizia la carriera di soldato, lanciato temerariamente verso un grande destino. Presto la sua valentia militare gli assicura una fama nazionale e grandi guadagni. Lo chiamano addirittura l'invincibile. Prima al soldo di tanti capitani di ventura, crea infine un esercito tutto suo formato da uomini animati da un nuovo spirito di patria, da valori che trascendono la venalità e la vanità dei mercenari.
Sul finire del grande scisma d'occidente mezza Italia è nelle mani di Braccio da Montone, dal Po al mare Ionio, compresa buona parte dello stato pontificio. Egli ha, d'altronde, ereditato dalla sua terra il misticismo intransigente che fu di San Francesco, nutrendo una forte avversione per i papi-re che si curano soprattutto dei beni materiali. Papa Martino V raduna così un grande esercito per porre fine al "grande sogno" di Braccio. Lo scontro finale avverrà alla battaglia dell'Aquila.
Personalità complessa, Braccio ha espresso un embrione di sentimento nazionale. Lo stesso Machiavelli, nel tracciare il profilo del Principe, non può non aver pensato a questa grande figura che proprio a Firenze aveva goduto di grande popolarità.