Eco: guida al Nome della rosa


PREZZO : EUR 12,00€
CODICE: ISBN 8843084690 EAN 9788843084692
AUTORE/CURATORE/ARTISTA :
Autore:
EDITORE/PRODUTTORE :
COLLANA/SERIE : , 535
DISPONIBILITA': Disponibile


TITOLO/DENOMINAZIONE:
Eco: guida al Nome della rosa

PREZZO : EUR 12,00€

CODICE :
ISBN 8843084690
EAN 9788843084692

AUTORE/CURATORE/ARTISTA :
Autore:

EDITORE/PRODUTTORE:


COLLANA/SERIE:
, 535

ANNO:
2016

DISPONIBILITA':
Disponibile

CARATTERISTICHE TECNICHE:
128 pagine
Brossura

DESCRIZIONE:

Commento dell'editore:
È il 1980 quando Il nome della rosa esce in libreria e si impone all'attenzione di tutto il mondo. Si tratta di un romanzo avvincente, ricco di questioni sottili, per intendere le quali occorre uno strumento agevole ed efficace. Sotto la lente del critico non cadono solo gli aspetti letterari, ma anche i contenuti filosofici e politici che riconducono il lettore al clima arroventato degli anni Settanta. Chi si nasconde sotto la maschera di fra Dolcino? E il riso di cui tanto si discute è un valido antidoto contro qualunque fanatismo, o è una strategia che consente di ripristinare la narrativa popolare di ieri? Rispondere a simili domande significa entrare nella fucina di un grande intellettuale come Eco e chiedergli conto di cosa sia stato il postmoderno: una delle etichette più discusse lungo il tardo Novecento, ma che solo nella vicenda di Adso e Guglielmo sembra trovare un'applicazione esemplare.
"Inchiesta criminale e metodi di conoscenza
Se osservato dal lato delle ultime scene, il romanzo denuncia indubbiamente un pessimismo incupito e persino catastrofico. Occorre anche dire, però, che la stessa insistenza con cui l'autore si sofferma su modalità ed errori, sviamenti, ritardi nell'inchiesta condotta dal personaggio detective pare legittimare considerazioni diversamente costruttive. Torneremo tra non molto sulla caratterizzazione complessa, se non antitetica, dei due protagonisti Adso e Guglielmo. Per ora giova piuttosto osservare che, mentre da un lato l'intreccio giallistico ha un'evidente funzione di intrattenimento, legato com'è all'esigenza di sospingere il destinatario ingenuo da un capitolo all'altro sino al coronamento finale dell'atto di lettura; dall'altro lato esso si configura come spazio entro cui il processo inquisitivo riflette con ostinazione su sé stesso. Riflette, cioè, proprio sugli strumenti logico-razionali e umanamente proficui che possono additare una via di fuga da una tanto opprimente cappa di fanatismo apocalittico. È poggiando su un aspetto siffatto che una parte della critica sul Nome della rosa – quella, diciamo, meno irretita dai funambolismi citatori e intertestuali esibiti dal romanzo – ha potuto parlare di opera dal sapore neoilluministico.
Per quanto ragionevole e per certi versi condivisibile, si tratta però di un giudizio critico da maneggiare con molta cautela. A ben guardare, nel fitto di tante e tante pagine, Eco ha giocato pericolosamente con la fascinazione catastrofista. E la può negare e contrastare, sì, ma a prezzo di una complicazione strutturale del racconto, ossia elevando al quadrato l'indagine criminale che vi è contenuta: imbastendo un serrato contrappunto metapoliziesco a disposizione di lettori dal palato più fine.
A tutti costoro, intimi delle muse o in possesso di buoni titoli fi losofici, la cosa poteva venire in chiaro sin dalle sequenze iniziali del romanzo. La scena tanto spesso citata di Brunello, in cui Guglielmo – con grande sfoggio effettistico – riesce ad anticipare il nome e le sembianze di un cavallo senza averlo visto, e prima che i monaci e gli stallieri al seguito riescano a informarlo di alcunché, è già di per sé un piccolo compendio di logica inferenziale. Certo, si tratta di un'evidente manipolazione narrativa che Eco ottiene rimeditando Il mastino dei Baskerville di Sir Arthur Conan Doyle; a sua volta debitore dell'episodio Il cane e il cavallo contenuto in un'operetta giovanile di Voltaire, Zadig o il destino. Ma è anche da segnalare una fonte indiretta, e ben più contemporanea, che il nostro autore non ha ritenuto di mettere adeguatamente in luce.
Intendiamo il saggio di Carlo Ginzburg intitolato Spie. Radici di un paradigma indiziario, in cui lo studioso si avvale – tra altri – degli stessi esempi testuali utilizzati da Eco (Conan Doyle e Voltaire), per prospettare un sapere che abbia la «capacità di risalire da dati sperimentali apparentemente trascurabili a una realtà complessa non sperimentabile direttamente». Un sapere pratico, anziché sistematico, che per Ginzburg «non rientra affatto nei criteri di scientificità desumibili dal paradigma galileiano», e anzi dischiuderebbe gli occhi dello storico della scienza e dell'antropologo culturale su una scena primaria assai più lontana: quella «del cacciatore accovacciato nel fango che scruta le tracce della preda».
Che il nostro autore conoscesse da vicino il saggio di Ginzburg è cosa ben attestata, e cospicuo era stato d'altra parte il dibattito che esso aveva suscitato. Si deve osservare, tuttavia, che alla suggestiva tesi avanzata dallo storico torinese – antisistematica e antitotalizzante, ma non per questo meno razionalistica – Eco imprime una torsione tutta professionale di indole semiotica. Il giallo, con il suo percorso indiziario teso a delucidare un caso delittuoso più o meno complesso, diviene così lo spazio privilegiato entro cui sperimentare la scienza dei segni; o, per dirlo con sapore ancora medievale, per esercitare «la preghiera della decifrazione»."


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