Commento dell'editore:
Nel presente stato di avvilimento della parola, la quaestio fondamentale del De Magistro appare in tutta la sua cruciale attualità. Il dialogo agostinianonon mira esclusivamente a restituire al linguaggio tutta la sua più autentica dignità umana, ma è anche il richiamo all’interiorità, all’ascolto e al silenzio; se la parola non vuole “mostrare” solo se stessa, allora è il momento del pensiero, della meditazione su che cosa vale la pena dire.  In caso contrario,  la parola non sarà vera comunicazione, ma nascerà sotto il segno “diabolico” della separazione e della contraddizione, come l’ “arco”, segno di vita e di morte, nell’etimologia del frammento di Eraclito. La risposta di Agostino all’emergenza della parola, come si presentava nel passato, ma anche nelle modalità di oggi, non può essere ancora una volta fraintesa. (dalla Premessa di Paola Pascucci).
Il dialogo De magistro (…) può considerarsi ed è la testimonianza più preziosa sul tema centrale del linguaggio di tutto il progresso della filosofia antica, dal Cratilo patonico fino al IV°- V° secolo d.C. In ambito cristiano costituisce il punto di arrivo più alto dell’ideale educativo del Cristianesimo nel tentativo di sintesi del problematico rapporto tra la cultura classica e quella religiosa ispirata al Vangelo del Nazareno. Il lettore di ogni epoca può cogliere infatti nel denso e serrato dialogare - ricostruito sul filo della memoria di Agostino- tra il futuro Vescovo di Ippona e il figlio sedicenne da poco scomparso, il messaggio - per certi aspetti rivoluzionario- delle capacità autonome di apprendimento di un discepolo, grazie alla sua volontà costantemente orientata verso la Verità immutabile che nel Cristo, il Maestro interiore, è sempre  presente ad ogni coscienza umana, come si esprime l’apostolo Paolo, nell’”uomo  interiore” (dalla Presentazione di Vittorino Grossi).