Commento dell'editore:
L'immagine della teologia nel medioevo è ricca e variegata. Lo mostrano ampiamente e con analitica documentazione le ricerche di Jean Leclercq - lo specialista di Bernardo di Clairvaux, l'«inventore della teologia monastica» -, che qui pubblichiamo col titolo: Il pensiero che contempla.
Senza dubbio in questi lunghi secoli medievali, sotto l'influsso dell'idea aristotelica di sapere, la teologia viene ideata, elaborata e insegnata come «scienza»; è però viva la persuasione che non si tratta di una scienza come le altre. «Essa è una "scienza divina", una "dottrina di pietà", una "sapienza"», e «insegnarla è un'opera che la Chiesa esercita per la salvezza degli uomini, mediante certi suoi ministri: i dottori», dediti, con tutto l'impegno della loro vita, a «mettere al servizio della Chiesa tutte le acquisizioni dello sforzo intellettuale del loro tempo». Il teologo è chiamato «doctor Ecclesiae» ed è destinato a ricevere nell'eternità, come ricompensa del suo studio e del suo insegnamento, appunto l'«aureola di dottore». Ma, se il medioevo risalta e si distingue per la concezione scientifica o speculativa della teologia, non meno prosegue in esso la tradizione patristica e monastica, e Jean Leclercq lo prova delineando con acuta e brillante interpretazione la dottrina di Tommaso d'Aquino - lo «speculativo» per eccellenza - relativa alla vita contemplativa nella sua Summa Theologiae. La sostanza e la linfa della dottrina dell'Angelico provengono largamente da Gregorio Magno, il «Dottore del desiderio», e non sorprende se si tiene presente che Tommaso ricevette la sua prima formazione, dai cinque a quattordici anni, nel monastero benedettino di Montecassino. La teologia è riflessione, ma non meno contemplazione: trasmettere l'esuberanza di quello che ha contemplato definisce di conseguenza la missione del «predicatore» e quella stessa del teologo. Sempre, infine, alla scuola di Tommaso, Leclercq delinea in luminosi tratti la teologia come preghiera. Il dottore della Chiesa è chiamato a comunicare «una verità che fa parte di lui stesso». Egli fa teologia con fervore, «nell'entusiasmo e nella gioia, nella freschezza e nella semplicità di un cuore indiviso, interamente donato a Dio».
Anche in questi contributi il monaco di Clervaux ha saputo sia ricompaginare e soffiare l'alito vitale nelle ossa aride di testi sepolti sotto la dotta polvere delle biblioteche sia rinnovare e rendere avvincenti testi già largamente conosciuti.
Oh se i docenti di teologia del nostro tempo leggessero questo libro e lo facessero conoscere ai loro alunni nei seminari e nelle facoltà teologiche.