Commento dell'editore:
La vita della nobiltà nel Giappone feudale, i molti amori del principe Genji «lo splendente», l'arte, la musica, la fortuna e le disgrazie inaspettate, l'eleganza e l'atmosfera malinconica di un mondo affascinante e impalpabile. Accolta a corte per la sua fama di donna colta e amante della letteratura, Murasaki Shikibu, dama dell'entourage dell'imperatrice Shoshi e discendente di un ramo secondario della potente famiglia Fujiwara, compone il Genji monogatari nel primo decennio dopo l'anno mille. Il romanzo, destinato a diventare un classico universale, era stato pubblicato nei Millenni nel 1957, in una traduzione dall'inglese di Adriana Motti e più volte ristampato.
Questa nuova edizione della Storia di Genji, curata da Maria Teresa Orsi - docente di Lingua e letteratura giapponese prima all'Orientale di Napoli e poi alla Sapienza di Roma e già curatrice per Einaudi delle Fiabe giapponesi - è la prima traduzione italiana dal giapponese antico.
«Il capolavoro dei romanzi femminili giapponesi è La storia di Genji di Murasaki Shikibu, vissuta nel decimo secolo. È un libro così bello, così complesso, così ramificato, che debbo scusarmi con i miei lettori: qualsiasi cosa possa dire della Storia di Genji, sarà crudelmente elusiva e insufficiente. Non posso che raccomandarne la lettura come potrei raccomandare quella del Sogno della camera rossa o dell'Evgenij Onegin o di Guerra e pace».
Pietro Citati, «Corriere della Sera»
«Il Genji monogatari viene spesso indicato come il primo esempio di romanzo psicologico. Se simili attribuzioni suonano sempre alquanto arbitrarie, leggendolo non si può evitare di avvertire quanto si proceda in profondità nello scandagliare l'animo umano e come il quadro che ne deriva sembri spesso in sintonia con il modo di sentire di oggi. Da questo punto di vista, esso merita a buon diritto il titolo di classico della letteratura universale, sebbene solo di recente, in pratica poco piú di cento anni, sia entrato nell'orizzonte culturale occidentale e abbia preso a influenzarlo. La sua modernità risiede nella precisa volontà dell'autrice di non limitarsi a presentare intrecci tali da attirare l'attenzione e distrarre dalle pene quotidiane, ma anche di trasmettere sensazioni e sentimenti nella convinzione che altri possano e debbano condividerli. (...) Da questo punto di vista il collegamento con i grandi romanzi occidentali appare inevitabile, ma ogni forma di confronto, classificazione e competizione si rivela alla fine incongrua. Si può dire che Murasaki Shikibu ricorda nelle sue introspezioni Proust o che il Genji monogatari sta al mondo cortese dell'anno Mille come Madame Bovary sta al mondo borghese dell'Ottocento. Ma il Genji monogatari non può non essere letto, analizzato, se possibile apprezzato, come un'opera profondamente, organicamente medievale. (...) Non è possibile tagliare in due il romanzo, distinguendone una parte "universale", che attiene a sentimenti riscontrabili in ogni tempo e a ogni latitudine, e quella frettolosamente catalogata come caduca, fatta di annotazioni riconoscibili solo da chi si muove in un mondo ormai scomparso e utili a perpetuarne la perfezione formale. Questi due aspetti sono in realtà del tutto inscindibili, si compenetrano e si giustificano l'un l'altro».
(Dall'introduzione di Maria Teresa Orsi)
«Essendo nato in questo mondo in una posizione privilegiata, non vi era nulla di cui dovessi essere insoddisfatto, ma d'altro canto non posso fare a meno di pensare di aver avuto un destino molto piú infelice di quello della gente comune. Forse ciò è avvenuto perché il Buddha voleva che mi rendessi conto della tristezza e della caducità della nostra vita. Sono vissuto ignorando volutamente questa verità e poi, giunto verso il tramonto della mia vita, ho conosciuto la piú grande delle sventure e ora che sono consapevole del mio destino e dei miei limiti, mi sento in qualche modo libero».
Murasaki Shikibu, La storia di Genji