Quarta di copertina:
"Verbum divinum omnis creatura". Ogni creatura - noi e le cose del mondo - è una parola divina. L'aforisma teologico di Ugo di S. Vittore compendia il senso di un'inconfondibile traiettoria linguistica. Ogni creatura solo nel Verbum divino perviene alla compiutezza del senso. La Parola, che è originariamente il suo proprio senso, vincola a sé il senso parziale di ogni altra parola. È la parola che non possiamo dire e giudicare perché condizione di ogni nostro giudizio. Ma come è possibile giudicare e parlare nella sua luce, noi, qui ed ora? Ritraendoci dal frastuono empirico delle cose verso quell'interiorità agostiniana o quell'intimum silentium mentis bonaventuriano, come spogliazione di sé da ogni atteggiamento puramente naturalistico, e collocandoci in quel Verbum, entro cui noi e le cose siamo stati pensati e creati. Noi e il mondo epifania di Dio. Non si tratta del ritorno alla mistica del linguaggio o a versioni neo-cabalistiche, bensì del tentativo di coniugare Verbum e Logos, la densità teologica della tradizione ebraica con la trasparenza concettuale della tradizione greca. È questo l'itinerario linguistico che Agostino, Anselmo e Bonaventura sviluppano, contribuendo alla definizione di un preciso "topos" linguistico nell'ambito dell'esperienza medievale. Interiore ed esteriore, intuizione e astrazione, comprensione immediata e interpretazione, realtà e concetto, luce divina e potenza conoscitiva umana, si ritrovano confusi nella nostra parola, non risolta nella descrizione empirica delle cose, ma aperta a quanto non appare in ciò che appare.