Il più potente e organico dramma di Shakespeare, Re Lear, affonda le proprie radici nella mitologia britannica. Esso infatti nasce da una situazione semplice e schematica, ispirata al teatro medievale, in cui il vecchio Lear si spoglia del potere in favore delle figlie, a eccezione della prediletta Cordelia che non ostenta le seducenti promesse delle sorelle. Fondendosi quindi con la storia parallela del Conte di Gloucester, secondo il modello del doppio intreccio tipico dell'esperienza barocca, la tragedia si dilata fino a sondare la relatività di ogni condizione, affetto e umano istituto. Nel cuore stesso della tragedia, la tempesta sfidata da Lear è a un tempo la realtà naturale e il simbolo di una forza contro cui combatte la stessa umanità. Ormai lontani dall'interpretazione che vedeva realizzarsi nel dramma di Lear il passaggio dal desiderio di vendetta alla pietà per i propri persecutori, leggiamo in questo testo una delle analisi più profonde e amare della natura umana. Ed essa non soltanto ci dice che, più spesso di quanto si creda, la lucidità del saggio risiede nelle parole del folle, come accade con il buffone, o che la visione più chiara è quella del cieco, come succede a Gloucester, ma che le supposte verità e i principi sui quali l'uomo fonda il proprio sapere e la propria convivenza sono intimamente contraddittori, e ogni loro positività di valore è solo illusoria. Emerso dalle brume del passato barbarico, Re Lear di Shakespeare è diventato il mito stesso dell'ambiguità morale ed esistenziale dell'uomo moderno sondata in tutti i suoi aspetti e con un respiro drammatico la cui potenza è rimasta unica e irripetibile.