Simone Martini

La Maestà

PREZZO : EUR 65,00€
CODICE: ISBN 8843557831 EAN 9788843557837
AUTORE/CURATORE/ARTISTA :
Autore:
EDITORE/PRODUTTORE :
COLLANA/SERIE :
DISPONIBILITA': Esaurito


TITOLO/DENOMINAZIONE:
Simone Martini
La Maestà
PREZZO : EUR 65,00€

CODICE :
ISBN 8843557831
EAN 9788843557837

AUTORE/CURATORE/ARTISTA :
Autore:

EDITORE/PRODUTTORE:


COLLANA/SERIE:


ANNO:
1996

DISPONIBILITA':
Esaurito

CARATTERISTICHE TECNICHE:
164 pagine
89 ill. a colori, 9 ill. in bianco e nero
Rilegato in tela con sovracoperta e cofanetto
cm 25 x 28

DESCRIZIONE:

"La Maestà" di Simone Martini è un grande affresco che occupa tutta la parete d'onore (perché in essa si apre solo una porticina secondaria in angolo) della maggior sala del Palazzo Pubblico di Siena, che un tempo si chiamava del Consiglio o "della Balestra" (un nome che, forse parzialmente, conservò fino alla fine del Quattrocento) e quindi detta "del Mappamondo" dal mappamondo girevole che vi dipinse nel 1344-1345 per la parete opposta Ambrogio Lorenzetti (andato completamente distrutto nel secolo XVIII).
Della decorazione murale e del patrimonio pittorico del palazzo essa è la più antica testimonianza che ci sia pervenuta, ancorché il 12 agosto 1289 un certo Maestro Mino pittore ricevesse 18 lire a saldo delle 22 che doveva avere "quia depinxit Virginem Mariam et alios Sanctos in Palatio Comunis in Consilio". Questo documento che Uberto Benvoglienti nel 1701 riferì alla "Maestà" di Simone Martini (onde da molti creduli settatori dell'erudito settecentesco quel famoso capolavoro venne ritenuto dell'oscuro Mino di Graziano, per di più fantasticamente identificato dal padre Della Valle con fra Giacomo da Torrita) riguardava invece - come chiarì il grande Gaetano Milanesi - un affresco che andò distrutto circa dieci o quindici anni dopo la sua esecuzione, quando l'edificio della Dogana, o "Bolgano", dove ebbero la loro prima sede le magistrature, venne forse abbattuto, e comunque del tutto trasformato per dar luogo all'attuale Palazzo Pubblico. Dal 1282 infatti si parlava di trasformarlo o di ampliarlo con l'acquisto di case adiacenti, oppure di costruirne uno interamente nuovo in altro luogo: e nel 1288 il primo proposito venne solennemente ribadito. La gestazione del nuovo palazzo dovette essere laboriosa e non priva di contrarietà, e ce lo conferma l'alto numero di voti "del no" (64 contro 103 favorevoli e 49 contro 185) che nel 1293 furono opposti alle delibere di acquisto delle case di Bartolomeo Saracini e di Tuccio d'Alessio che confinavano col Bolgano dalla parte del Malborghetto (oggi via Duprè). Certamente non esisteva ancora un progetto, neppure di massima, per il nuovo edificio, e forse c'era da parte di molti la speranza di mantenere in essere la vecchia sala del Consiglio della Campana: la quale era già dal 1289 in piena efficienza, perché il 28 luglio 1289 per essa venivano commessi dei sedili di legname mentre per la cappella dei Nove, adiacente alla sala, si ordinava "unam finestram vetri". Il che ci fa ritenere che l'affresco di Maestro Mino, che ne veniva saldato quindici giorni dopo, doveva essere già terminato perché è impensabile che - come ha rilevato Edna Carter Southard cui si deve la scoperta del documento del 28 luglio da lei posto in relazione con altri e più tardi casi consimili nello stesso palazzo - si provvedesse a munire di vetrate le finestre di ambienti prima che il loro arredamento e soprattutto la loro decorazione murale avessero avuto piena realizzazione. Non si sa con esattezza dove fosse la cappella dove Maestro Mino affrescò la Madonna con gli altri santi che nel 1291 un pittore actavit (dovette essere un piccolo intervento di riparazione perché costò soltanto 5 soldi) e per la quale nello stesso anno, per 50 soldi, un pittore Jacobuccio dipingeva "uno chapello lampadis in lapide", cioè un sostegno per una lampada che doveva stare davanti al dipinto (e quindi cosa diversa e con altra funzione del "chapello" che nel 1375 veniva fatto sopra la "Maestà" di Duccio in Duomo, la quale è su tavola mentre quella di Mino era a fresco), mentre, sempre nel 1291, il 17 giugno, il pittore Diotisalvi riceveva 20 soldi "quia pinxit de licteris aureis ante majestatem Sancte Marie Virginis in palatio comunis". È però pressoché certo che questa cappella stava al piano terreno dell'attuale palazzo e che vi si doveva accedere anche dalla piazza: si chiamava la cappella dei Nove e seguitò ad essere decorata almeno fino al 1390 ed officiata fino a quando, per i riti religiosi del Comune, venne sostituita al piano superiore dalla cappella dei Signori, adiacente, come la prima, alla sala del Consiglio.
Ma la più indiscutibile prova che la "Maestà" di Simone Martini non è, come credevano nel Settecento, quella di Maestro Mino del 1289 consiste nel fatto che il corpo del palazzo sulla cui parete Simone dipinse fu costruito a partire dal 1304; come pure è da escludere che Simone - come è stato affermato da recenti studiosi - abbia nel 1321 "restaurato una delle opere precedenti" (nell'agosto 1295 venivano pagate 10 e poi 15 lire a "Guidoni dipegnatori" che doveva dipingere "in palatio comuni,... imaginem Marie Virginis" che col titolo di "majestatem" gli veniva saldata con 10 lire - "quia pinxit" - il 15 novembre 1295), perché su quella parete si aprivano due finestre o porte che furono tamponate quasi certamente quando fu deciso di farvi dipingere la "Maestà" da Simone Martini". Era quindi impossibile che ci fosse in origine un altro affresco.

Indice:
La "Maestà" di Simone Martini
LA MAESTÀ
Nota sui restauri
Bibliografia essenziale
Indice dei nomi.


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