Commento dell'editore:
«Avrei dovuto pensare che da quel nome nihil venga significata l'ineffabile, incomprensibile e inaccessibile luminosità della bontà divina, ignota a tutti gli intelletti tanto umani che angelici.» Così Giovanni Scoto nel cuore del Libro III, esso stesso al centro del Periphyseon. Il nulla domina le sue idee rivoluzionarie sulla Creazione. «Quando la trascendenza divina comincia ad apparire nelle teofanie» scrive Peter Dronke, «allora quel nulla diviene qualcosa. Creare dal nulla tutti gli esseri, dal più alto al più basso, significa farli apparire come teofanie, come manifestazioni del divino.» Perché Giovanni Scoto sostiene che nel Verbo divino, nella Sapienza, tutte le cose sono sia eterne sia fatte, e che Dio, nel creare il mondo, crea anche sé stesso. La Sapienza è informe, e in essa sussiste la materia, essa stessa informe. Nessun filosofo platonico si era spinto sino a questo. La Sapienza, che è l'esemplare infinito di tutte le forme, non ha bisogno di forma «a essa superiore per formarsi», ma quando discende nelle forme guarda a sé stessa come al suo proprio principio formatore. Nella sua trascendenza, la Sapienza è non-essere e assoluto nulla, «ma in virtù della sua presenza nelle cose essa insieme è ed è detta essere». L'animato dibattito tra maestro e discepolo che costituisce l'ossatura del Periphyseon raggiunge qui uno dei suoi punti più alti, dettando tutta l'interpretazione letterale della Genesi che l'ispirato profeta Mosè ha composto nel linguaggio della poesia e del mito. Quando Dio dice «Sia fatta la luce», questo significa: «Procedano le cause primordiali dai segreti incomprensibili della loro natura in forme e specie comprensibili, e così si manifestino agli intelletti di coloro che lo contemplano». È in brani come questo che emergono l'originalità, la forza e la complessità del Periphyseon, l'opera forse più grande del pensiero medievale prima della Summa di Tommaso d'Aquino. Si tratta del lavoro di un irlandese, Giovanni Scoto Eriugena, maestro alla corte carolingia di Carlo il Calvo nel IX secolo, traduttore dal greco e commentatore di importanti testi quali il Vangelo di Giovanni e i trattati di Dionigi l'Areopagita. Ricco di immagini, di echi e riverberi, scritto in un latino straordinario da uno dei pochissimi filosofi del Medioevo che conoscessero il greco, Sulle nature dell'universo è in effetti la summa del platonismo medievale e un vero e proprio capolavoro. La Fondazione Valla ne presenta il testo appositamente stabilito da Peter Dronke su quello di Édouard Jeauneau, con la prima traduzione integrale in italiano per mano di Michela Pereira, e uno splendido commento dello stesso Dronke.